testi critici


ANTOLOGICA Marcantonio Bibbiani
Prioria di San Lorenzo, Montelupo Fiorentino, 2010
 
di Ilario Luperini

Marcantonio Bibbiani da tempo ha trovato nelle sculture in ceramica il suo mondo poetico.
Fino ad oggi ha affrontato tre cicli di notevole impegno tecnico e culturale.
I tre titoli: Racconto di sculture, Scatole magiche, Crocifissioni. Sono tre cicli di impostazione diversa, ma accomunati da uno stesso fil rouge: una precisione e un rispetto per la materia implacabili. I volumi dell'artista sono plasmati come se la creta fosse rimasta morbida e le sue opere mantengono il tepore e la malleabilità della materia prima, grazie alla totale padronanza del processo produttivo che l'artista riesce a piegare alla sua imprevedibile e incontrastata immaginazione. In ognuno dei tre cicli si coglie una personalità estremamente delicata e sensibile, in bilico tra fierezza e fragilità.
Questa mostra si propone, per la prima volta, di mettere in risalto i caratteri distintivi e le analogie dei diversi momenti attraverso cui l'artista fino ad oggi è passato. In questo sta la novità e l'originalità dell'iniziativa. Nel primo ciclo la cifra dominante è una sorta di racconto fantastico con chiari riferimenti ai fascinosi mondi delle simbologie, dei misteri esoterici, delle fiabe; un racconto che si snoda per meraviglie e analogie, non per nessi logici, la cui continuità è data dall'interrelarsi delle forme e dei colori e dalle spericolate evoluzioni immaginifiche.
Le complesse simbologie e l'arditezza tecnica di Marcantonio Bibbiani restano protagoniste anche del secondo ciclo, a testimonianza di un raro ardore di ricerca, insieme all'adesione istintuale ad alcune vitali questioni della nostra esistenza e ad una spiritualità profonda e contrastata. E' evidente l'interesse dell'artista per tutto quanto va al di là del sondabile e controllabile attraverso l'intervento normalizzante della ragione. Pieni e vuoti, intersecazioni di spazi e di forme si alternano nel variare del rapporto tra luce ed ombra risolto talora in morbidi passaggi, talaltra i forti contrasti cromatici.
Nelle opere più recenti il tema religioso riporta l'artista, da un linguaggio ricco ed esuberante, caratteristico dei primi due cicli, entro i canoni di una essenzialità primitiva (tra trecentesca e neogotica), laddove il tema del mito pagano si consuma ed esalta in una estatica e rinnovata presa diretta della realtà interiore, colta con la discrezione e il piacere di una ritrovata purezza.
La figura del cristo diviene dramma e dolore millenario, ma anche indubbia via verso la salvea, in una visione di laica sacralità. Da qui i moduli ritmici e mai uguali, nelle rese statiche ed estatiche, in un rapporto di poesia e moralità significativamente intimo. Un lavoro di scavo che testimonia una totale immedesimazione nel tema prescelto. Il Cristo crocifisso diviene l'icona sacra che pervade la quotidianità e che vuole riscattarla; o, meglio, il riferimento culturale e morale attraverso cui riscattare l'umanità dall'imbarbarimento in cui sta precipitando.
Di rilievo assoluto appare, poi, La Tovaglia, un'opera inedita di stampo poeticamente iperrealista, che rivela le contraddittorie e contrastanti emozioni che pervadono la scultura di Marcantonio Bibbiani. Malinconia, tenerezza, rabbia si sprigionano da quegli oggetti così usuali, ma anche così assoluti, irreali, metafisici, colti nel momento in cui possenti ,, robuste braccia, in un gesto di totale ribellione, stanno per sconvolgerne l'assetto abitudinario. E' l'assolutezza della solitudine che origina la rabbia dell'impotenza, ma c'è anche il tenero affetto verso gli aspetti più consueti del vivere quotidiano.
Torna, nel mondo poetico di Marcantonio, la forte aspirazione alla libertà, una libertà individuale rispettosa degli altri, nemica delle prevaricazioni, guidata dall'estro e dalla fantasia, ma regolata dalla consapevolezza di necessari compromessi e inevitabili rinunce.
Una liberazione dai luoghi comuni, dalle furberie, dai pregiudizi, in nome dell'autenticità dell'essere, della laicità dell'esistere, del rifiuto del solo apparire, del trasparente coraggio delle scelte.
Ilario Luperini
Giugno 2011


CROCIFISSIONI  di Marcantonio Bibbiani
Piccolo chiostro di San Marco, Firenze, 2011
 
di Ilario Luperini

Non sono rari i momenti di discontinuità nel lavoro di un artista. Quando alla base c'è l'assoluta padronanza del materiale e della tecnica - come nel caso di Marcantonio Bibbiani - ogni scarto linguistico diviene possibile; anzi, spesso, auspicabile per evitare la ripetitività e l'accademismo.
In un precedente commento ai suoi lavori, sottolineavo che in Marcantonio conta il massimo dell'abilità epurata da qualsiasi tentazione tecnicistica. Un procedere per fantasiose e ingarbugliate incrementazioni di forme che si avvolgono su se stesse, con soluzioni ardite che attestano una raffinatissima perizia tecnica. Una precisione e un rispetto per la materia implacabili; l'opera ceramica nasce dalla visione onirica, dall'urgenza di individuare ritmi e assonanze interiori. Nel suo percorso precedente, l'artista è andato alla ricerca di forme complesse che forzassero i limiti stessi del fare ceramica. I suoi volumi sono plasmati come se la creta fosse rimasta morbida, allo stato iniziale, e non avesse subito le necessarie e perigliose vicende della cottura, durante la quale, per l'imperizia o per il caso, tutta l'elaborazione creativa può perdersi. Invece, in Bibbiani, anche allo stato finale, l'opera mantiene il calore, la malleabilità e il tepore della creta: ciò significa totale padronanza del processo produttivo che l'artista riesce a piegare, apparentemente senza fatica, alla sua imprevedibile e incontrastata fantasia.
Tutto vero.
Oggi, però, è in atto un percorso di purificazione, l'abbandono (momentaneo?) delle precedenti rigogliose forme a favore di composizioni assai più misurate. Oggi l'artista mostra intera la sua più autentica vocazione, senza retorica, in un modellare teso e vigilato, con piani che si succedono netti e decisi, in una rigorosissima scelta formale.
Il tema religioso riporta l'artista entro i canoni di una essenzialità primitiva (tra trecentesca e neogotica), laddove il tema del mito pagano si consuma ed esalta in una estatica e rinnovata presa diretta della realtà interiore, colta con la discrezione e con il piacere di una ritrovata purezza.
Le sensitive forme rielaborate nei temi della cristologia, si mescolano ad accenti allegorici di drammatica sofferenza, in una complessità di composizioni apparentemente simili, in realtà sempre più diverse nei particolari e nei dettagli. Nelle miniature dei volti, nello scandaglio del carnato, nelle scelte cromatiche si misura la passione, il dolore, la sofferenza con cui Bibbiani affronta le figure, fino a sublimarle nell'esaltazione della gioia per il risultato raggiunto, dove è evidente la riduzione di ogni particolare descrittivo a struttura formale. Ancora intensità di sentimenti, giustea di equilibri, volumetria spigliata e correttamente rivolta nella lettura del soggetto, trattato con umiltà, ma anche con estrema e giustificata fiducia nei propri mezzi.
La figura del Cristo rimanda a un continuo studio sull'uomo e sui suoi caratteri. Tutta la serie costituisce una potente galleria di umanità, carattere che segna il suo percorso fatto di continue e profonde analisi in sofferta, ma anche amorosa consuetudine con i valori eterni del vivere e del consumarsi: mai ripetitori, ma di continuo rinnovatesi per molteplicità di segno e di gesto, di impostazione e di approfondimento.
Le figure si pongono in plurimi rapporti con lo spazio delimitato dalla forma circolare di un semplice piatto che rimanda a infinite simbologie e misteriose significazioni. Il riferimento è sempre un universo magico, onirico, immaginifico, fatto di tensioni che non sembrano mai avere fine, sebbene in questo caso assai controllate e ricondotte ad unità.
Aggredendo la realtà della vita, Bibbiani sa estrarre dal suo bagaglio culturale e dal suo inimitabile estro un mondo di universale vitalità, nel dramma degli uomini, come nella contraddittoria crescita dell'uomo.
Nella ricerca continua delle varianti, l'artista trova il giusto ritmo ai suoi interessi formali e plastici: la figura del Cristo, nella sua apparente staticità, diviene fulcro di un mondo fatto di equilibri che mai si distrugge, ma che nel gesto bloccato sembra trovare il segreto della sua eterna vitalità. Le figure, nelle diverse dimensioni, nell'articolazione e disarticolazione delle posture e dei portamenti, appaiono quasi modellate e riportate in una iconica rappresentatività morale che ha il senso del tempo senza fine.
Al fondo del suo atto creativo, della sua vena drammatica, esiste un momento di dolore e desolazione, di sofferenza e fatica; ma ecco che, quando ormai sembra avere inesorabilmente toccato il fondo, subentra improvviso e vivificante, lo scatto volitivo che lo eleva al di sopra del dolore e spinge al suo ripensamento, a una sorta di decantazione.
E allora la figura del Cristo diviene dramma e dolore millenario, ma anche indubbia via verso la salvezza, in una visione laica di sacralità. Da qui i moduli ritmici e mai uguali, nelle rese statiche ed estatiche, in un rapporto di poesia e moralità significativamente intimo. Un lavoro di scavo che testimonia una totale immedesimazione dell'artista nel tema prescelto.
La sua, naturalmente, non è un'operazione dottrinale, ma la ricerca del valore di un simbolo universale -il Crocifisso- attraverso la solidità degli impianti, la snelleza delle relazioni, la trepidazione tra sentimento e luce: il rapporto espressione-tensione materica diviene fortemente emotivo per la straordinaria vena creativa e la mistica lettura del tema prescelto. E il tempo, più che lo spazio, sembra intervenire nelle figure in modo costante, per farci partecipi di un momento dell'eternità.
In questa puntuale indagine interviene anche il colore come motivo non tanto pittorico, ma di identità morale e di vitalità luminosa, segno dell'esistenza che vibra e che non si spegne. L'artista sempre più sembra sentire il potere anche cosmico dell'esistenza nella sua continua e prolungata ricerca di ogni atto vitale.
Il Cristo crocifisso diviene l'icona sacra che pervade la quotidianità e che vuole riscattarla; o, meglio, il riferimento culturale e morale attraverso cui riscattare l'umanità dall'imbarbarimento in cui sta precipitando.
Un lavoro di drammatica denuncia, mai blasfemo.
Emerge, così, con estrema evidenza, l'immolarsi del Dio fattosi uomo per una causa ideale: la conoscenza, la rinuncia ai propri interessi per fini superiori, l'abbandono della vita materiale, in un universale messaggio di generosità e di dedizione.

Ilario Luperini
Giugno 2011


Le Scatole Magiche e L' Amore Assoluto di Marcantonio Bibbiani

di Ilario Luperini

La Chiesa della Spina e il Teatro Verdi; un gioiello architettonico del Trecento, seppur fortemente rivisitato da numerosi rimaneggiamenti, e uno dei più bei teatri italiani del secondo Ottocento. Luoghi che fanno da prestigiosa cornice a una mostra di opere in ceramica cariche di stupefacente e fantasiosa creatività.
La Spina è animata e non prevaricata da una serie di quattordici sculture dipinte che rappresentano un percorso teorico e tecnico di passaggio dalla grafica alla ceramica vissuta come pittura e scultura, nella continuità di un simbolo grafico a stella che rappresenta il loro filo conduttore.
Quattordici Scatole Magiche di Marcantonio Bibbiani, una multiforme personalità (scultore, architetto, incisore, poeta, narratore, illustratore) che fa della entusiastica, appassionata, meravigliata, consapevole elaborazione fantastica una ragione di vita; o, meglio, il fil rouge della sua esistenza.
Nelle opere esposte alcune sue consolidate strutture linguistiche si compongono e si articolano in un sistema espressivo in cui organicità e invenzione si incontrano con grande efficacia: il simbolo grafico a stella che trafora con imprevedibile irregolarità le superfici; la nicchia-tabernacolo che racchiude ogni scena rappresentata; la capacità di plasmare con freschezza forme e colori; il saper passare con naturalezza dalla concretezza di figure riconoscibili alla suggestione di forme astratte, da frammenti di realtà a impalpabili e, insieme, fantasmagoriche, talora anche divertite visioni oniriche.
Da Paesaggio giapponese a Quello che resta si snoda un racconto in cui espliciti riferimenti culturali (le suggestioni della grafica giapponese) si intrecciano con moti interiori, pulsioni emotive, profonde esplorazioni all'interno della propria coscienza.  Un viaggio in cui entrano in gioco la solitudine con se stesso, la disumana voracità, il mistero della nascita, l'aspirazione all'armonia universale, la ricerca della verità, la libertà, le lacerazioni, la prevaricazione. Un viaggio al termine del quale quello che resta è l'anima viva che pure è già un ricordo di lapide.
Le quattordici sculture dipinte ci appaiono come sottili variazioni su questi temi.
Temi, tutti, affrontati per poetiche intuizioni, senza pedanteria, al di sopra di ogni caduca moda o scontata ritualità, vissuti nel profondo, sofferti nell'intimo, talora osservati con delicata, malinconica ironia. L'articolato distribuirsi del simbolo grafico su superfici analoghe ma diverse per cromie, profondità e varianti formali dà luogo ad un racconto fantastico che si articola per meraviglie e analogie, non per nessi logici, la cui continuità è data dall'interrelarsi delle forme e dei colori e dalle spericolate evoluzioni immaginifiche. Ed ogni opera è un pezzo unico, irripetibile; perizia tecnica, cultura e creatività si fondono; l'iterazione in quattordici esemplari non appiattisce; al contrario, arricchisce; un quid differenziale esiste sempre a distinguere un'opera dall'altra; ed è proprio nelle differenze, talvolta minute, che consiste il fascino e l'essenza stessa di questa serie. Serie, ma non serialità e, nello stesso tempo,  nessun barocchismo, nessuna concessione a sterili formalismi.
Le complesse simbologie e l'arditezza tecnica delle opere di Marcantonio Bibbiani sottendono un raro ardore di ricerca, insieme all'adesione istintuale ad alcune vitali questioni della nostra esistenza e ad una spiritualità profonda e contrastata.
È evidente l'interesse dell'artista per tutto quanto va al di là del sondabile e controllabile attraverso l'intervento normalizzante della ragione. Pieni e vuoti, intersezioni e intersecazioni di spazi e di forme si alternano nel variare del rapporto tra luce e ombra risolto talora in morbidi passaggi, talaltra in forti contrasti cromatici.
E, accanto alle opere, a loro completamento, le sue parole, le parole di Marcantonio.

1 - PAESAGGIO GIAPPONESE
come ombre cinesi a ritagliare la ceramica, quasi carta; pagode, fiori di loto, corvi reali, sanpan e samurai giganti:è paesaggio giapponese.
2 - PAESAGGIO GIAPPONESE CON SOLE NASCENTE
paesaggio giapponese infuocato di Sole che mangia ogni cosa; giallo imperiale, rosso corallo, guizzi di cielo d'ambra sul mare tartaruga.
3 - PAESAGGIO GIAPPONESE POP
lati d'umore imprevedibili, ruotanti e circolari attorno al mio essere; come questo movimento. C'è colore, c'è mezzo colore, c'è buio assoluto, c'è bianco fuori dall'io nero, oggi. Come un dado rotolo nel mio destino quotidiano.
4 - PAESAGGIO ARMONIA
armonia, cose in armonia tra loro e tra loro e me. Abbracciato a fili di seta e forme gonfie e lucide di rugiada e ceralacca, morbide. Non c'è più nessun paesaggio. Sono parte di questo .. mondo, anch'io nell'universo. Stelle bianche di luce attraversano me e tutto quanto all'infinito.
5 - SAIGON
due scheletri bianchi d'ossa si aggirano tra le macerie, due come le nuove Lune di Saigon. La grande medusa sputa ancora meteore di fuoco, rossa e gonfia di sangue come un enorme fegato malato. Di piombo tagliente e ostile a me stesso, tutto è morto fuori ma mi tormenta come se vivesse ancora malamente.
6 - LANTERNE ROSSE
carne sopra la carne e carne ancora sopra in mucchio. Fagoci mutanti, corpi d'uomini sugli uomini sempre più mostruosamente pieni di carne e di fame. Lanterne rosse, unici anfratti liberi, vuoti sottratti alla carne, alla mandibola spalancata di desiderio.
7 - L'ALBERO DELLE FARFALLE
da quest'albero nascono farfalle gialle; non hanno crisalide e si staccano direttamente dalla corteccia, prendono subito a camminare. Lasciano il vuoto che rimane come cicatrice di parto.
8 - MOON FLOWERS
fiori di luna quando tutto si spegne e l'aria e la terra si riempiono della vita che non prende mai sonno o che dorme di giorno, o si sveglia come stordita credendo sia mattino presto. Quasi silenzio.
9 - CONVERSAZIONE CELESTE
arcadia mitica, conversazione celeste. Castello di nuvole e angeli in consesso. E' Paradiso? Aureole allineate come nastri di monete d'oro, in fila come grani di rosario. Nudi, alteri e molli, angeli.
10 - LA FINESTRA SUL CORTILE
"c'è una luce accesa in quella finestra, sapete chi ci vive?". "No, non chiedetelo a me, io non conosco nessuno; esco presto al mattino per andare al lavoro e torno tardi alla sera, proprio non so dire".
11 - LA CAGE DORE'E
ho comprato un uccelletto, mezzo canarino e mezzo pappagallo e l'ho messo in una gabbia tutta d'oro. Ha una stecca come trespolo, il mangime e l'acqua per bere, la vaschetta per il bagno; proprio non gli manca niente.
12 - L'ISOLA CHE NON C'E'
un mondo grande che si è fatto piccolo, un mondo piccolo che si è fatto grande; io grande che mi faccio piccolo, io piccolo che mi faccio grande.
La verità sta tutta nel palmo di una mano.
13 - LA NUVOLA PRIGIONIERA
sta, divincolandosi su una forma preordinata. Si contorce leggera in arrendevole fatica, vibra prodigandosi in riflessi di colore e ritagli d'aria. Veste funi come morbide trecce di lunghi capelli. La sua voce chiede:"libertà!"
14 - QUELLO CHE RESTA
dopo che tutto è passato ed è andato via lontano, quello che resta: la forma prima si è lacerata, aperta e rotta. Mostra nuda l'anima viva che pure è già un ricordo di lapide.

Prosegue la sofferta sfida di Marcantonio Bibbiani; una sfida che si sviluppa su due piani tra loro strettamente intersecati; una sfida affrontata con il coraggio dello sperimentatore e la pazienza (nel suo più profondo senso etimologico) dell'uomo che la vive sulla propria pelle. L'homo patiens, per cui la sofferenza è tenuta sotto traccia grazie a un prepotente desiderio di vita.
C'è un piano etico dominato da Amore e Libertà.
Amore nella più larga e intensa accezione, oltre ogni inaccettabile e perbenistica distinzione di genere.
Libertà come affermazione della persona nel più assoluto rispetto degli altri, nemica delle prevaricazioni, guidata dall'estro e dalla fantasia, ma regolata dalla consapevolezza di necessari compromessi e di inevitabili rinunce. Una liberazione dai luoghi comuni, dalle furberie, dai pregiudizi, in nome dell'autenticità dell'essere, della laicità dell'esistere, del rifiuto del solo apparire, del trasparente coraggio delle scelte.
E c'è un piano linguistico caratterizzato dall'abbattimento di ogni barriera tipologica, a dimostrazione di quanto assurdo sia sempre stato lo stereotipo del meccanicistico abbinamento ceramica-artigianato. Non importa ricorrere a precedenti illustri ( Gaudi del Parco Guell o Picasso a Vallauris); è sufficiente porsi con mente e animo liberi da pregiudizi di fronte a queste scatole magiche: ceramica è arte, nel suo più elevato significato.
Eccitazione, mistero e magia pervadono la mente e l'animo nell'attraversamento delle volute e degli anfratti, delle ardite composizioni e della complessa simbologia dei lavori di Marcantonio, in cui conta il massimo dell'abilità epurata da qualsiasi tentazione banalmente tecnicistica. Un procedere per fantasiose incrementazioni di colori e forme che si avvolgono su se stesse, con soluzioni ardite che attestano una raffinatissima perizia tecnica. Una precisione e un rispetto per la materia implacabili; l'opera in ceramica nasce dall'intuizione poetica, dall'urgenza di individuare ritmi e assonanze interiori. La qualità culturale si esprime attraverso la ricerca di forme complesse che forzano i limiti stessi del fare ceramica; i volumi di Marcantonio sono plasmati come se la  creta fosse rimasta morbida, allo stato iniziale, e non avesse subito le necessarie e perigliose vicende della cottura, durante la quale, per l'imperizia o per il caso, tutta l'elaborazione  creativa può perdersi. Invece, in Marcantonio, anche allo stato finale, l'opera mantiene il calore, la malleabilità e il tepore della creta: ciò significa totale padronanza del processo produttivo che l'artista riesce a piegare, apparentemente senza fatica, alla sua imprevedibile e incontrastata fantasia. E sappiamo bene che, nella ceramica, gli esiti formali sono il frutto di un attento e meticoloso, talvolta assai faticoso, controllo di tutto il processo produttivo, dalla prima lavorazione, alla coloritura, alle cotture.
Fantasiosa asimmetria, efficaci contrasti di colore, accostamenti imprevedibili e inaspettati di complessi apparati simbolici, magia e mistero sembrano essere, appunto, i principali caratteri dell'opera di Marcantonio Bibbiani, artista che, lo possiamo affermare con certezza, ha intrapreso una strada di notevole originalità in cui si intersecano componenti tra le più diverse: intelligenza, sensibilità, accesa fantasia, sincero entusiasmo, autenticità di sensazioni e immediatezza di sentimenti si intrecciano con continuità e utilizzano al meglio la perizia tecnica e la cultura figurativa che l'autore possiede in abbondanza. Un percorso i cui limiti, i cui sviluppi non sono dati a vedere, poiché la sua passione, il suo desiderio, la sua voglia di sperimentare materiali e tecniche, di provarne le resistenze anche in condizioni estreme, appaiono inesauribili.
Marcantonio Bibbiani: personalità originale e complessa in cui una visione della vita in apparenza aprica, solare - in realtà un'interiorità estremamente delicata e sensibile, ognora in bilico tra fierezza e fragilità - e un amore appassionato per ogni manifestazione dell'attività artistica fanno da contrappunto ad  un'immaginazione continuamente sollecitata e affollata da suggestioni fiabesche e mitologiche, da oniriche fantasie, dall'addensarsi delle simbologie in un flusso di rapporti tra realtà e sua trasfigurazione i cui confini divengono sempre meno netti, sempre più fluidi e impalpabili.
I suoi esiti formali sottendono tensioni interiori di non lieve portata; l'artista sa di essere in un mondo folto di ambiguità e questioni irrisolte; lo vive come parte di sé, eppure non di rado lo sente estraneo, anche ostile; il suo rapporto con se stesso e con gli altri non è lineare, monocorde, ma di una polifonia contrastata, non priva di intimi conflitti. Sente la necessità di disvelarsi, ma è trattenuto da ritrosia e riservatezza; teme l'incomprensione o, peggio, l'equivoco. Ecco, allora, la necessità di esprimersi attraverso complesse simbologie; e spera che gli altri riescano a comprenderle; offre chiavi per la loro comprensione, ma non vuole cadere nella banalità delle chiose esplicative; dà spunti, non soluzioni, nella speranza che ognuno sappia arrivare da solo, seguendo le suggestioni delle opere, a una propria autonoma interpretazione. E' solo con se stesso, ma sente forte il desiderio di entrare in contatto con i suoi simili, senza sotterfugi, nella chiarezza delle idee e dei sentimenti.
In tutto ciò risiede il fascino misterioso di L'Amore Assoluto, la scultura del Teatro Verdi. Le forme sono modellate in modo avvolgente e sensuale, colte sul punto di unirsi in un amplesso che sta ad indicare il fondersi di sapienza, prudenza, pura sessualità e, appunto, amore assoluto; ma anche l'indistinzione dei sessi, la tendenza all'identificazione, all'annullamento delle differenze. Le teste già sono unificate dal pomo alato; rimangono distinti i caratteri identificativi dei corpi, ma i cerchi che li stringono non presentano varchi. L'amplesso è totale: ideale, spirituale prima che fisico. La luce modella le candide, increspate forme in maniera calda e avvolgente, offrendole al visitatore in tutta la loro pura, incontaminata sensualità, nel leggero trascolorare di luci ed ombre sulle vibranti superfici.
Purezza di forme e purezza di sentimenti; desideri, aspirazioni, più che certezze, ma proprio in esse sta la possibilità di infrangere il cerchio della solitudine. L'amore assoluto può volgere in positivo le ambiguità e le contraddizioni dell'esistenza.

Ottobre 2007


 ..Il  Matto tra tutti gli Arcani,    egli è senza il numero, privato di un rango, senza posto nel mazzo. E' uno zero perfetto, un cerchio assoluto: un tutto o un niente, un sole o una luna. Si apposta all'inizio o alla fine di ogni Opera, per scrutare l'inverosimile.Cinque colori si affacciano sull'incisione del Matto. La cifra esprime l'essenza dell'essere umano, la discesa nel mondo sublunare di cui è vittima e carnefice allo stesso tempo. Un colore, però, si afferma più degli altri: il verde. Il verde è la vita a primavera, la resurrezione dell'anima, la rinascita del corpo che -stimolato dagli ormoni- ha urgenza di esprimersi. Il verde è la morte, il livore del corpo che si avvia alla putrefatio, l'ascesso orribile che segna la carne, esprimendo la transitorietà del passaggio terreno.Morena Poltronieri e Ernesto Fazioli su Il Matto (incisione calcografica in pentacromia), estratto da Tarcchi eVOLUTI, a cura di Hermatena Edizioni, Riola (BO), 2005

Gianluca Morabito, estratto da catalogo Open Art 2006, Roma, 2006

Sogno e mistero - visioni oniriche, esoterismi, suggestione fiabesche, stramberie fantastiche. Ciò che colpisce immediatamente nell'espressione di Marcantonio Bibbiani, giovane artista pisano, è la capacità di dare forma plastica ai sogni senza perderne la vivacità, la magia, le imperscrutabili dinamiche. Nella Sala Grasce del chiostro di Sant'Agostino un ampio percorso tra complesse simbologie ed una straordinaria arditea tecnica resa attraverso l'uso della ceramica. Bibbiani narra una storia fantastica, un racconto che si snoda senza seguire nessi logici. In un immaginifico integrarsi di forme e colori, di divinità e suggestioni, l'artista coinvolge lo spettatore in una straordinaria avventura visiva ed emozionale. E' evidente il suo interesse ad andare oltre la supericie della ragione, a scavare tra le luci ed ombre del mistero. E' dunque con grande piacere che ospitiamo "Racconto di sculture", un linguaggio creativo del tutto originale nel contesto espositivo di Pietrasanta, un significativo assaggio della profonda e complessa personalità artistica di Marcantonio Bibbiani: narratore, grafico, illustratore, scultore ed architetto. Daniele Spina, Assessore alla Cultura di Pietrasanta, estratto da Racconto di sculture, catalogo della Personale, 2007

Dina Pierallini, estratto da Nuove Radici: gli scultori di Pietrasanta nel parco storico di Villa Cernigliaro, I Biennale di scultura e Land Art, Zero gravità, 2007

L'opera vincolata su schemi del figurativo si presenta con una forte carica surreale e metafisica. La mano dell'artista non va a caso. Cura particolarmente l'anatomia del modellato. Gli elementi plastici, i piedi nel catino, l'incarnato degli arti rivestono l'opera di grande veridicità. Pare che l'artista volgia porsi e porci delle domande, ma la nostra cultura delle immagini e l'idea stessa di opera d'arte ci consentono di "vedere" il resto del corpo seduto al buio. Il modellato è rigoroso e si coglie subito l'intenzionalità precisa e acuta di fermare per un attimo un passaggio che suscita l'idea di una situazione di tensione e di solitudine, mezzo portante dell'immaginazione dello scultore consapevole del tempo in cui viviamo.
Lidia Silanos su La lavanda dei piedi; estratto dal catalogo Arte e Benessere, Archi Gallery, Milano 2009

La ricerca scultorea di Marcantonio Bibbiani è contraddistinta da una continua sperimentazione tecnica e materica; in particolare con i suoi "assemblaggi corporei" si inserisce perfettamente in quella che è la concezione moderna dell'opera d'arte. Se Picasso, Modigliani e Gauguin avevano subito il fascino delle maschere africane, in Bibbiani è opportuno parlare di passione incondizionata per la mitologia greca, in particolare per Hermes e Atena. La forza creativa dell'artista esplode in tutta la sua opulenza elaborando un'opera che prevede la combinazione tra equilibrio e follia. Attraverso il colore bianco della ceramica, l'artista suggerisce allo spettatore una chiave di lettura di tipo onirica che diventa sempre più ambigua con le intromissioni del colore. L'inquietudine emerge focalizzando irreali torsioni corporee ed eccentriche espressioni di volti; l'ordine fisico-naturale viene annullato provocando un continuo mutare di sensazioni inconsce. La fusione dei corpi di Hermes ed Atena, insieme ai loro emblemi eroici, dà vita ad un unico personaggio (Hermes-Atena). Bibbiani proietta lo spettatore in un possibile scenario omerico moderno, carico di pathos e rivoluzione immaginifica. L'elemento perturbante si avverte maggiormente nella componente strutturale dell'opera. Lisa Falone su Hermes-Athena;
estratto dal catalogo Sentieri Visivi, Pettorano sul Gizio (AQ), 2009

Marcantonio Bibbiani da tempo ha trovato nelle sculture in ceramica il suo mondo poetico. Fino ad oggi ha affrontato tre cicli di notevole impegno tecnico e culturale. I tre titoli: Racconto di sculture, Scatole magiche, Crocifissioni. Sono tre cicli di impostazione diversa, ma accomunati da uno stesso fil rouge: una precisione e un rispetto per la materia implacabili. I volumi dell'artista sono plasmati come se la creta fosse rimasta morbida e le sue opere mantengono il tepore e la malleabilità della materia prima, grazie alla totale padronanza del processo produttivo che l'artista riesce a piegare alla sua imprevedibile e incontrastata immaginazione. In ognuno dei tre cicli si coglie una personalità estremamente delicata e sensibile, in bilico tra fierezza e fragilità. Questa mostra si propone, per la prima volta, di mettere in risalto i caratteri distintivi e le analogie dei diversi momenti attraverso cui l'artista fino ad oggi è passato. In questo stala novità e l'originalità dell'iniziativa. La mostra è curata da Ilario Luperini.
Estratto dal catalogo We Love Ceramic, Festa della Ceramica di Montelupo Fiorentino, 2010

Estratto da Art From Heart, un'asta di opere d'arte, Monteroni d'Arbia (SI), a cura di Fondazione Vacchi, 2011                                                                                                                                                                                                                             
Marcantonio Bibbiani interpreta con amarezza I tempi di oggi, in cui anche la religione e la fede diventano pretesti per dividere e non per unire e ci presenta questo "Cristo sushi", fatto a pezzi, offerto in pasto alla società in una raffigurazione provocatoria e inquietante. Non c'è ironia, bensì un messaggio profondo di monito e denuncia contro il malessere più intimo dell'uomo e la società dei consumi, scaturito da istanze fasulle di supremazia ideologica ed etica. La tecnica è raffinata e pone l'antica esperienza ceramista al servizio della modernità, in una vibrante e disillusa rappresentazione dell'umanità. Guido Folco su Cristo sushi; estratto da catalogo Milano Arte "Flussi contemporanei", 2012

Marcantonio Bibbiani è artista dissacrante, pungente e le sue opere permettono una riflessione sulla società contemporanea attraverso simboli iconici e universali, come la religione. Il suo "Cristo in nuce" o altri lavori, oltre a colpire per il raffinato modellato in ceramica, suscitano sentimenti contrastanti, che ci inducono a un pensiero interiore e personale. Guido Folco su Cristo in nuce; estratto da catalogo "Praga contemporanea: maestri a confronto", 2012

Guido Folco su La lavanda dei piedi; estratto da catalogo Sofia (Bulgaria), "L'arte contemporanea dei territori d'Italia: uno sguardo al futuro", 2012

Paolo Levi su La lavanda dei piedi; estratto da catalogo I Biennale internazionale Arte di Palermo, 2013

Il poliedrico artista pisano ha svolto attività di architetto perfezionandosi nella progettazione, nell'arte grafica, in quella canonica, nella tecnica dell'acquaforte. Approfondisce la conoscenza della tecnica su ceramica per poi applicarla in scultura. La sua arte si ispira alla tradizione duecentesca toscana della ceramica invetriata. Nell'opera Icona rappresenta simbolicamente
l'antica iconografia della mano di Cristo crocifisso perforata dal chiodo; in essa si vuole raccontare il dolore dell'umanità e l'amorosa risposta di Dio alla follia dell'uomo, il quale peccando ha scelto la più pesante condanna: la morte. L'opera fa parte di un ciclo scultoreo ricco di ethos in cui il momento storico della Passione diventa archetipo dell'umanità, Bibbiani si fa portavoce e tramite al servizio di una riscoperta spiritualità. Daniele Radini Tedeschi; estratto da catalogo Festival delle Belle Arti e della Cultura del XXI secolo, Firenze, a cura di La Rosa dei Venti (Roma), 2013

Le accattivanti scatole in ceramica di cui Bibbiani ha proposto un'intere serie, presentano una triplice chiave di lettura: la forma, in cui interno ed esterno paiono convivere in una sorta di continuo interscambio; il colore, quasi una "pelle" dell'opera, a cui l'artista demanda una sua particolare narrazione simbolica, e la materia, il fascino antico della tecnica.Silvia Arfelli; estratto da catalogo Simultaneus visions, Reuss Galerie (Berlino), a cura di La Maya Desnuda (Forlì), 2013

Marcantonio Bibbiani si presenta con L'Offerta n.43: Cristo su distesa di teschi, quasi a voler indicare un calvario numerico basato su di una successione di portate la cui bizzarria eucaristica consiste nella trasformazione del pane e del vino in un'opera darte. Cristo è crocefisso su di una scodella, I teschi come in una blasfema nouvelle cuisine divengono decorazione del piatto, l'offertorio pertanto consiste in questa azione reiterata e ripetuta di sacrificio dove il martirio del Cristo viene ribadito in un andirivieni di portate il cui dripping gastronomico altro non è che il suo sangue. Daniele Radini Tedeschi; estratto da catalogo Capri Festival delle Belle Arti e della Cultura del XXI secolo, a cura di La Rosa dei Venti, 2013